
Per quanto possa sembrare un po’ datata, visto che fu coniata 25 anni fa nel primo saggio “Liquid modernity”, crediamo che per definire e caratterizzare la fase che stiamo vivendo non vi sia espressione migliore dell’immaginifica visione coniata da Zygmunt Bauman della “società liquida”.
La liquidità evoca instabilità e mutamento continuo, precarietà, dissoluzione delle strutture solide, flessibilità estrema, accelerazione, incertezza, sradicamento parziale, ovvero tutti aspetti che ritroviamo nel quotidiano e che hanno conosciuto negli ultimi anni un’accelerazione per l’impetuoso sviluppo delle tecnologie digitali.
Oltre agli interrogativi che si riferiscono al mercato, alla strategia, ai temi gestionali per i quali siamo chiamati ad offrire un supporto come società di consulenza di direzione, ci capita spesso, soprattutto con gli interlocutori con i quali abbiamo costruito nel tempo una relazione duratura, di registrare dubbi e interrogativi sull’efficacia dei paradigmi adottati nel tempo, sul proprio stile di leadership soprattutto in relazione all’impatto dell’IA. Dubbi e interrogativi che celano una profonda ansietà riferibile al rischio crescente di non saper controllare il cambiamento in atto, al venir meno di certezze e valori di riferimento, alla possibilità di perdere rilevanza e ruolo. Sono reazioni comprensibili, soprattutto se si considerano le sollecitazioni ai quali sia gli imprenditori come i top manager sono esposti.
L’IA generativa ha un impatto articolato: semplifica l’accesso ad una vastità di dati e di elementi, permette una rapidità di apprendimento, facilita o impone (dipende dai punti di vista) un incremento della reattività, permette un aumento della produttività e della qualità. Si possono comprendere non solo le vertigini ma anche le esitazioni a lasciare i vecchi rassicuranti paradigmi gestionali che non sono più adeguati al contesto attuale; esitazione che denuncia in realtà una vera e propria resistenza al cambiamento.
Ci sia permessa, prima di entrare nel merito, una digressione etimologica: leadership proviene dal verbo to lead, guidare, indicare una direzione e su questa origine si è sviluppata una filosofia, un modo di interpretare il ruolo di leader, uno stile, che hanno permeato generazioni di imprenditori e di top manager, i quali però operavano in contesti – è bene sottolinearlo – completamente diversi, sicuramente difficili ma non complessi come quelli odierni che richiedono approcci specifici.
Ma procediamo con ordine cominciando a eliminare tutta una serie di luoghi comuni. Occorre innanzitutto distinguere fra leadership e stili di leadership, ossia le modalità con le quali la leadership viene declinata.
A nostro avviso oggi non è in crisi la leadership in sé, intesa come capacità di creare una visione, disegnare una strategia, mobilitare, indirizzare e motivare risorse, concentrare e concentrarsi sui risultati, alimentare l’innovazione per il futuro, ma sono in crisi gli stili di leadership che sono stati sinora adottati.
Bisogna, come insegnava Peter Drucker partire innanzitutto da sé stessi, (Managing Oneself), rimettersi in discussione sapendo che non esistono più stili e modelli di comportamento validi per tutte le stagioni ma occorre identificare quelli più funzionali al business di oggi, forse di domani ma sicuramente non di dopodomani allorquando sarà necessario ricercarne altri.
Per certi versi la precarietà dei modelli e degli stili di leadership è confermata dallo sviluppo della stessa IA, che ha portato Ethan Mollick, nel suo recente pamphlet ‘Co-intelligence’, a mettere in guardia gli utilizzatori dell’IA sottolineando, come quarta regola da seguire, di ricordarsi sempre che il modello in uso è il peggiore in assoluto rispetto a quello in procinto di essere lanciato.
La disponibilità e la molteplicità dei dati e delle informazioni offerte dall’IA facilitano un approccio a tutto campo che permette di impostare processi completi (end to end), di integrare processi e attività oltre i perimetri tradizionali (a patto però di rompere i silos!), di cogliere le opportunità offerte dal digitale per diventare più competitivi e soddisfare i clienti, di prendere decisioni adeguate per i clienti riducendo il time to market. Questo implica: verificare la validità dell’organizzazione e decidere spesso di ridisegnarla, capire dove automatizzare e/o dove applicare le soluzioni tecnologiche più adeguate, come e dove allocare le risorse, come sviluppare e consolidare la relazione fra gli uomini e gli agenti IA scegliendo il mix adeguato.
In sintesi, il leader di oggi è chiamato a coniugare visione e adattabilità che richiede cicli brevi, sperimentazione disciplinata, correzioni tempestive. La disponibilità dei dati comporta per il leader di impostare un decision making data driven, che non significa diventare succube dei numeri ma adottare rigore nelle scelte, definire soglie decisionali.
Non solo, ma per gestire e non subire la trasformazione il leader deve poter contare su una governance efficace (ruoli chiari e regole semplici), investire nelle persone e nelle nuove competenze (le fusion skills), coagulare consenso per ridurre la resistenza al cambiamento e per accelerare l’execution. Gli stili di leadership che sembrano emergere in questa fase dell’era digitale sono caratterizzati da: rapidità, rigore, reattività.
Ma c’è un particolare stile che era, è e tale rimarrà comunque, al di là dell’evoluzione del contesto, e che dovrà essere integrato con gli stili del momento ossia leading by example. Solo con l’esempio si può generare e innovare la cultura organizzativa; per questo quando ci capita di confrontarci su questi temi con gli imprenditori ricordiamo la battuta del professore del Massachusetts Institute of Technology Jon Kabat-Zinn “You can’t stop the waves but you can learn to surf” (Non puoi fermare le onde ma puoi imparare ad andare sul surf).
Nell’era digitale il vero differenziale competitivo dell’impresa non è la tecnologia in sé, ma la capacità dell’imprenditore di dare direzione, ritmo e senso al cambiamento, di ispirare fiducia e stabilità.
Nota sull’autore

ANTONIO ANGIONI
Laureatosi con lode in giurisprudenza, dopo aver conseguito un master ha iniziato un percorso professionale ampio e strutturato, sia in Italia che all’estero, lavorando per aziende di rilievo quali Fiat, Duracell, Air Liquide, ricoprendo incarichi che gli hanno permesso di sperimentare diverse aree manageriali.
Capitalizzando queste esperienze, nel 2017 ha fondato con un socio Poliedros Management Consulting, società di consulenza di direzione. Autore di numerosi contributi di management, privilegia i programmi di change management e di sviluppo della leadership.

