
Il mondo sta attraversando una fase di transizione profonda, segnata da una molteplicità di crisi sovrapposte che ridefiniscono equilibri consolidati. Due, in particolare, le direttrici principali di cambiamento: da un lato, l’emergere di nuovi poli di potere e il riassetto dell’ordine geopolitico globale; dall’altro, una trasformazione tecnologica e sociale che incide sulle fondamenta stesse della convivenza civile e delle relazioni internazionali. In questo scenario, l’Italia e l’Europa sono chiamate a ripensare la propria collocazione strategica, consapevoli delle responsabilità che ne derivano.
Negli ultimi anni, molte delle dinamiche in corso sono state interpretate in modo frammentario, senza coglierne il carattere sistemico. In realtà, il ritorno della competizione tra potenze, l’aumento delle disuguaglianze, l’instabilità nei paesi del Sud globale, le tensioni migratorie e la sfida dell’intelligenza artificiale sono fenomeni strettamente connessi. Solo una visione d’insieme può restituire la complessità del momento storico che stiamo vivendo.
Un esempio emblematico è la strategia della Russia nei confronti dell’Europa, che, spesso ridotta alla guerra in Ucraina, si sviluppa invece su più livelli: uno militare e geopolitico, uno culturale e comunicativo, uno tecno-strategico.
A Sud, attraverso l’uso di forze mercenarie – come la ex Wagner, oggi Africa Corps – Mosca ha esteso la sua influenza nel Sahel e nel Mediterraneo allargato, sostenendo regimi instabili, interferendo nei processi locali e cercando di controllare i flussi migratori e i traffici illeciti. Nella fascia Sahel–Golfo di Guinea, negli ultimi due anni, si sono susseguiti otto colpi di Stato con una costante impronta para-statale russa. Il controllo delle rotte migratorie e dei traffici illeciti si rivela, di conseguenza, una leva strutturale che incide su sicurezza e dinamiche politiche interne europee.
A Nord, nell’Artico, la Russia ha rafforzato la propria presenza, cooperando con la Cina, per posizionarsi come attore dominante in una regione destinata a diventare strategica. L’apertura della Northern Sea Route e l’espansione di basi e porti artici accrescono, inoltre, il rischio di marginalità europea in assenza di un approccio unitario.
Accanto a queste dinamiche, la Russia porta avanti una forma di pressione meno evidente ma altrettanto pericolosa: quella identitaria. Sfruttando la disinformazione, le fragilità sociali e i timori legati all’immigrazione, Mosca ha costruito una narrativa alternativa all’integrazione europea: un paradigma sovranista a base etnico-religiosa che promuove un quadro politico di matrice autoritaria. Questa strategia mira a indebolire il progetto europeo dall’interno, alimentando il dissenso e polarizzando il dibattito pubblico.
Il fronte Sud è la dimensione strategica che più direttamente coinvolge l’Italia. L’Africa e il Mediterraneo allargato sono oggi al centro di una tensione tra opportunità e minacce. Da un lato, si tratta di aree ricchissime di risorse naturali, potenziale umano e dinamismo demografico; dall’altro, sono attraversate da crisi ambientali, conflitti, instabilità politica e sperequazione. La crisi climatica – in particolare nel Sahel e nella regione del Lago Ciad – agisce come un vero e proprio moltiplicatore di minacce, generando migrazioni forzate, tensioni sociali e terreno fertile per la radicalizzazione e l’economia illegale.
In questo contesto, l’Italia ha il dovere e l’occasione di giocare un ruolo di guida, promuovendo una strategia euro-africana integrata che unisca sicurezza, sviluppo sostenibile e partenariato economico. Il Piano Mattei rappresenta un primo passo importante, ma la sua efficacia dipenderà dalla capacità di coinvolgere tutta l’Unione europea in un’azione coerente e lungimirante. Gli aiuti, se disancorati a sicurezza e tenuta istituzionale, risultano inefficaci: vanno, infatti, subordinati a condizionalità verificabili e sostenuti da capacità operative sul terreno; altrimenti rischiano di aprirsi vuoti di sicurezza e di capacità istituzionale che attori esterni, in primis Russia e Turchia, possono colmare rapidamente. Serve una nuova generazione di fondi strutturali europei non solo per ricostruire le aree di crisi, ma per prevenire nuove instabilità e rafforzare le interdipendenze positive tra Europa e Africa.
In questo quadro, Roma dovrebbe assumere la guida di una coalizione mediterranea per un piano parallelo articolato su due direttrici: la ricostruzione a Est e un programma pluriennale di investimenti strutturali in Africa, con strumenti condivisi per una gestione ordinata e programmata dei flussi migratori.
Anche sul piano demografico, il rapporto euro-africano va ripensato in modo proattivo. L’Europa, che invecchia rapidamente e fatica a sostenere i propri sistemi di welfare, ha bisogno di manodopera giovane e formata. Una mobilità regolata e ben gestita può diventare una leva di crescita, se inserita in un progetto politico più ampio che unisca formazione, investimenti e condivisione di intenti.
Il fronte Nord, spesso trascurato, è altrettanto strategico. L’Artico si sta trasformando, infatti, da periferia remota a centro di gravità della nuova competizione geopolitica. La sua crescente accessibilità e l’enorme potenziale in termini di risorse naturali, rotte commerciali e infrastrutture di telecomunicazioni lo rendono, come detto poc’anzi, oggetto di rivalità crescenti: la Russia ha rafforzato la sua presenza militare, mentre l’Europa, frammentata e poco presente, rischia di essere marginalizzata. Serve, dunque, una visione comune anche per il Nord, che integri sicurezza, transizione ecologica e innovazione tecnologica.
Tutte queste sfide convergono su un punto: l’Europa deve dotarsi di una vera autonomia strategica. Ciò non significa abbandonare il legame transatlantico, ma renderlo più equilibrato e solido. Un’Europa più capace, più coesa e più autonoma rafforza anche la Nato e contribuisce alla stabilità globale.
La costruzione di una difesa comune, di una strategia industriale europea, di una politica estera credibile e di una sovranità tecnologica condivisa sono i pilastri su cui edificare un’Unione capace di affrontare le crisi del presente e le sfide del futuro.
L’Italia, grazie alla sua collocazione geografica, alla sua storia di relazioni mediterranee e alla sua capacità di mediazione, può assumere un ruolo di leadership in questo percorso. Ma deve farlo con determinazione, promuovendo partnership strategiche, proponendo visioni di lungo termine e investendo politicamente nella costruzione di un’Europa protagonista.
Siamo, in definitiva, ad un bivio storico. Le recenti crisi ai confini orientali e nell’area che si estende lungo e oltre l’arco meridionale dell’Unione ci impongono un cambio di passo. Il futuro dell’Europa dipenderà dalla sua capacità di pensarsi non più solo come spazio economico e come “potenza del diritto”, ma come soggetto politico autonomo, in grado di decidere, agire e perseguire i propri interessi.
Sintesi dell’articolo pubblicato su RPE – Giugno 2025. Per scaricare il capitolo integrale cliccare qui
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Nota sull’autore

ANDREA MANCIULLI
Andrea Manciulli è il direttore delle Relazioni istituzionali di Med-Or Italian Foundation e presidente di Europa Atlantica. È esperto di terrorismo internazionale, sicurezza e difesa, relazioni transatlantiche, geopolitica e storia militare.
Già parlamentare della Repubblica, ha ricoperto gli incarichi di vice presidente della Commissione Affari esteri e di presidente della Delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea Parlamentare della Nato, per la quale ha curato i rapporti sul terrorismo jihadista.
È stato relatore del Decreto-legge recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo” (2015), co-firmatario della proposta di legge “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista” (2016) e relatore della Legge quadro sulle missioni internazionali (2016-2017).
Ha ricoperto ruoli dirigenziali in Fincantieri e Leonardo.



