
Stiamo vivendo in un periodo storico per definire il quale si sono ormai esaurite tutte le possibili espressioni e immagini retoriche. Oltre la complessità determinata dalla digitalizzazione, dalla transizione ecologica, dalla volatilità dei mercati, dai trend sociali, dai comportamenti sempre più esigenti dei consumatori, da cicli economici erratici, le imprese sono chiamate a confrontarsi con un contesto geopolitico in continua evoluzione, difficile da interpretare e gestire ricorrendo agli schemi e ai parametri sui quali si sono formate intere generazioni di imprenditori e di manager.
Nel confronto e nell’affiancamento con le aziende clienti, ricorrente è il dilemma di come ripensare il business model, di come organizzare persone, capitali e materiali per generare valore. Parliamo di dilemma perché nella maggioranza dei casi ancora forte è il condizionamento di soluzioni organizzative tradizionali, che frena la ricerca e la sperimentazione di modelli innovativi. Si registra comunque una crescente consapevolezza che non sia più sufficiente un vantaggio competitivo temporaneo, che sia sempre più necessaria una visione capace di integrare valore, sostenibilità e innovazione continua, attraverso un adeguato business model.
Benché risalga a circa quindici anni fa, ci sembra ancora valida la definizione che a suo tempo fu coniata da Alexander Osterwalder e Yves Pigneur (si veda il libro Business Model Generation), per i quali il business model altro non è che “la logica con cui un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore”. Quando siamo coinvolti dai nostri clienti nel ripensare il business model, noi suggeriamo di concentrarsi su quelli che consideriamo i tre assi fondamentali: la proposta di valore, la catena del valore e i flussi economici, sostenuti da processi interni coerenti e dinamici.
Indubbiamente la proposta di valore rappresenta la base della riflessione, dal momento che comprendere quali bisogni emergenti soddisfare e con quali modalità soddisfarli in modo distintivo influisce sulla competitività. La proposta di valore non deve essere percepita come uno slogan, ma come la promessa di un beneficio unico.
Trattando situazioni ancora in corso o per le quali abbiamo sottoscritto patti di riservatezza, preferiamo fare esempi mutuandoli da altre realtà. Si pensi ad Apple, ha superato l’identità di semplice produttore di computer per creare un ecosistema integrato di hardware, software e servizi, diventando parte della vita quotidiana di miliardi di persone. Oppure a Patagonia, che ha ridefinito il concetto di azienda outdoor trasformandolo in un impegno ambientale. L’acquisto del prodotto Patagonia è diventato una forma per condividere una visione di sostenibilità.
Per aiutare le imprese a individuare i bisogni futuri, riducendo il rischio di obsolescenza, e orientarle verso scelte strategiche più consapevoli, noi consigliamo di ricorrere al Value Proposition Canvas (Vpc), che è una metodologia per progettare e verificare l’allineamento fra il valore dell’offerta e i bisogni reali di un segmento di clienti. Si tratta di una metodologia efficace che incrocia il cliente (customer profile) con l’offerta (value map) e si rivela utile per riformulare il business model anche se, come abbiamo precisato, il processo non si esaurisce con questa fase perché occorre conseguentemente ripensare la catena del valore, ossia l’insieme delle attività che generano valore per il cliente. Una revisione che oggi deve essere ripensata all’insegna della digitalizzazione, dell’integrazione e della sostenibilità.
Si pensi, al di là delle stravaganze del suo fondatore, al caso di Tesla, che rappresenta un esempio interessante: la decisione di produrre internamente le batterie e di controllare buona parte della filiera, ha permesso infatti all’azienda di ridurre dipendenze critiche e di concentrarsi sull’innovazione.
Riferendoci ai casi che stiamo gestendo, la ridefinizione della catena del valore comporta inevitabilmente la digitalizzazione dei processi chiave (con l’utilizzo di Erp, IA, IoT) nonché l’integrazione verticale/orizzontale per conseguire un maggiore controllo e un’adeguata resilienza. A questo proposito bisogna poi ricordare come la transizione verde imponga catene del valore trasparenti e circolari; si pensi alla scelta operata da Ikea, che ha ristrutturato la logistica adottando imballaggi più leggeri e il trasporto ferroviario, con l’obiettivo di abbattere le emissioni di CO₂ e promuovere un’economia circolare.
Le imprese che non riescono a garantire trasparenza nella supply chain rischiano non solo inefficienze, ma anche danni reputazionali in un contesto in cui consumatori e regolatori pretendono responsabilità ambientale e sociale. L’aggiornamento o il radicale cambiamento del business model ha un impatto non solo sulle modalità con le quali vengono generati i ricavi ma anche sul controllo dei costi.
Adottando la servitization (per cui un’azienda manifatturiera non si limita più a vendere soltanto prodotti ma integra e offre servizi collegati a quei prodotti) il valore non deriva più dall’oggetto venduto ma dalla combinazione prodotto+servizio. Per esempio, Michelin non vende più solo pneumatici ma anche soluzioni di monitoraggio e gestione flotte, mentre Philips non vende più solo lampadine ma la luce come servizio. Questo comporta l’esigenza di un controllo adeguato dei costi, anche per prevenire o evitare sorprese spiacevoli derivanti dall’adozione di un nuovo business model.
A questo proposito noi suggeriamo di ricorrere al Cost to serve analysis (Cts) per capire quanto costa realmente servire un cliente o un segmento di clienti, mappando anche i costi nascosti (logistica, assistenza, personalizzazioni, gestioni ordini, resi, credito, etc.) per valutare la reale reddittività di ciascun cliente, migliorare la segmentazione dei clienti e l’efficienza operativa.
È inevitabile che il cambiamento di business model comporti una revisione dei processi organizzativi interni e a questo proposito, in base alle esperienze maturate con le aziende clienti, suggeriamo di adottare la metodologia che meglio si adatta alla realtà. Nelle situazioni dove si renda necessario ottimizzare e rendere efficiente ciò che già esiste, suggeriamo il lean management, che si è rivelato utile non solo nelle realtà manifatturiere (basti ricordare che è nato nel settore automotive Toyota), ma anche nelle realtà dei servizi come le assicurazioni e anche in una struttura sanitaria che ci è capitato di seguire di recente.
Nelle situazioni dove si renda necessario, invece, introdurre flessibilità e maggiore reattività noi preferiamo suggerire l’approccio agile, che permette di accelerare il cambiamento, facilita iterazioni brevi, genera una maggiore collaborazione riducendo la Silos Sindrome, stimola l’innovazione e il miglioramento continuo.
Come evidenziato in questo breve excursus, l’aggiornamento o il cambiamento del business model non sono progetti semplici o episodici. Questo spiega l’esitazione che registriamo spesso nella relazione con gli imprenditori, consapevoli che non è in gioco solo la capacità di rischio, elemento distintivo di chi fa impresa, ma anche la disponibilità a generare un cambiamento radicale che richiede l’abilità di monitorare il contesto, di mantenere coerenza tra proposta di valore, catena del valore e struttura economica, ma soprattutto la volontà di promuovere una cultura organizzativa funzionale al cambiamento.
Prendendo spunto da quanto di recente ci ha detto un imprenditore nostro cliente “oggi è il tempo del coraggio”. Non solo – aggiungiamo noi – per fare impresa ma per insegnare il coraggio nella convinzione che il domani, per quanto oscuro e incerto possa sembrare, appartiene a coloro che si preparano ad affrontarlo oggi.
Nota sull’autore

ANTONIO ANGIONI
Laureatosi con lode in giurisprudenza, dopo aver conseguito un master ha iniziato un percorso professionale ampio e strutturato, sia in Italia che all’estero, lavorando per aziende di rilievo quali Fiat, Duracell, Air Liquide, ricoprendo incarichi che gli hanno permesso di sperimentare diverse aree manageriali.
Capitalizzando queste esperienze, nel 2017 ha fondato con un socio Poliedros Management Consulting, società di consulenza di direzione. Autore di numerosi contributi di management, privilegia i programmi di change management e di sviluppo della leadership.

