L’istituto doganale sta sostenendo un processo di evoluzione dal quale risulterà completamente trasformato divenendo da macchina di intralcio alle attività economiche a strumento di competitività aziendale.
Fra tutte le relazioni che le imprese intrattengono con le pubbliche amministrazioni, quelle con la dogana sono forse tra le più rilevanti ai fini dell’esistenza dell’impresa stessa.
Proprio per questo, i complessi riti che le governano sono scandagliati, smembrati, vivisezionati in pubblicazioni, convegni e conferenze, che immancabilmente mirano a fornire un’esegesi del singolo regime doganale, della singola autorizzazione necessaria per esportare, della singola procedura telematica da implementare.
Tuttavia, focalizzare la riflessione su singoli aspetti alla lunga nuoce ad un rapporto con la dogana che dovrebbe essere di vera e propria parntership. Perché, presi ad osservare il particolare, ci si allontana dal tutto inteso come somma armonica delle parti che lo compongono. Ci si allontana dalla dogana.
Come logica conseguenza, nel quadro del ciclo dei seminari “Dogane e Internazionalizzazione” che Confindustria sta conducendo sul territorio dall’ottobre 2014, si è voluto fornire agli operatori non tanto un’ennesima fredda disamina degli istituti doganali, quanto uno strumento di analisi ed interpretazione unitario, tramite il quale comprendere – ed a quel punto si, utilizzare con cognizione di causa ed a proprio vantaggio – i raffinatissimi strumenti che le dogane offrono.
L’istituto doganale sta sostenendo un processo di trasformazione ed evoluzione dal quale risulterà completamente trasformato nel giro di pochi anni. Il modo in cui l’impresa si confronterà con tali cambiamenti risulterà immancabilmente in un’immagine; quella di una dogana macchinosa, occhialuta, quasi d’intralcio alla normale attività economica. Oppure quella di una dogana snella, benevola, reale strumento di competitività aziendale.
Primo fattore di mutamento è, in ambito Wto, l’Agreement on Trade Facilitation (Tfa) siglato a Bali nel dicembre 2013. Si tratta di un accordo storico (il primo dalla creazione della stessa Wto nel 1995) al cui cuore vi è la semplificazione burocratica e lo speeding up delle procedure doganali. Come ottenere un tale risultato in un contesto globale in cui la contraffazione, la qualità dei prodotti e la sicurezza alimentare (con tutti i controlli che ne derivano) sono assurti a paradigma dell’attività doganale? Tramite la figura dell’Authorized Operator, come risulta nell’articolo 7 (“Trade Facilitation Measures for Authorized Operators”) dell’Accordo. Se il “sein” – l’essere, è l’operatore che deve dimostrare alla dogana la liceità dei suoi flussi commerciali, il sollen – il dover essere, sarà l’Operatore Autorizzato che ipso facto meriterà la fiducia dell’istituto. Perché si sarà reso noto ad esso, perché avrà condiviso con esso procedure interne e processi produttivi. Consentendo alla dogana di investire risorse non più sullo sterile monitoraggio di traffici leciti, ma su chi si pone ai margini (per malafede o, peggio, negligenza) del nuovo sistema delineato dal Bali Package. La capillare diffusione dell’AO (declinato nelle sue molteplici varianti, tra cui l’Aeo dell’Unione europea), contestualmente all’’accelerazione delle procedure doganali di cui ne è conseguenza logico-operativa, è destinata a rendere il commercio tra soggetti certificati tanto rapido e leggero (meno documenti, meno controlli, sdoganamenti rapidi, differimento dei pagamenti e garanzie ridotte o eliminate) da rendere anche meno significative le barriere tariffarie. In più di 90 Paesi è già presente una certificazione Aeo, e il Bali Package darà un ulteriore impulso alla diffusione di questa figura.
Altra trasformazione epocale, da leggersi parallelamente alla prima, è il proliferare degli Accordi di Libero Scambio (Free Trade Agreement, Fta). Nonostante lo stallo negoziale del Doha Round (o, più probabilmente, proprio a causa di questo), i paesi membri della Wto stanno stringendo reciprocamente accordi preferenziali (la cui anima è data dall’abbattimento dei dazi fra i partner dell’accordo per quei prodotti che rispettino le regole di origine preferenziale dettate) ad un ritmo impressionante.
Il liscissimo manto di seta su cui la Wto aveva inteso ordire la sua trama simmetrica incentrata sul principio della Most Favoured Nation (Nazione Più Favorita, clausola secondo cui ciascun Paese contraente si impegna ad accordare ai beni provenienti da un paese estero condizioni tariffarie non meno favorevoli di quelle già applicate nei riguardi degli altri paesi) si è irrimediabilmente lacerato, sbrindellato – risultando in un aggroviglio di filamenti (oltre 500!) che altro non sono che gli Fta.
La geometrica compiutezza della Mfn, sempre perfetta perché sempre uguale a se stessa, ha lasciato il passo ad un intreccio apparentemente inestricabile e – proprio per questo – senza dubbio più affascinante per chi sappia riconoscerne l’intima bellezza: unicità, al posto di unitarietà. Singolarità al posto di ordinarietà.
La multidimensionale panoplia di Fta in vigore rende infatti assai più sfuggente l’attribuzione dell’origine preferenziale ad un prodotto, il cui processo produttivo può (alla luce dell’evoluzione della global value chain, deve) ormai variare in funzione del mercato da raggiungere.
Novello Teseo, l’imprenditore è costretto a districarsi nel labirinto degli Fta per raggiungere il mercato di interesse, con a disposizione un mirabile strumento: il filo di Arianna che gli permetterà di individuare il percorso produttivo (fra i molteplici possibili) attraverso cui i suoi beni raggiungeranno l’agognato status di prodotti preferenziali, potendo alfine giungere trionfanti all’obiettivo; la via più breve non sarà sempre la via più veloce.
La determinazione dell’origine (preferenziale e non) sta assumendo quindi un ruolo chiave nel panorama mondiale degli scambi, divenendo la variabile in base alla quale strutturare addirittura il processo produttivo. Si tratta di un processo logico, non arbitrario, e per il quale è agevole richiedere assistenza e consulenza anche tramite gli appositi servizi messi a disposizione dai partner di Confindustria.
Per poter certificare l’origine preferenziale, ovvero beneficiare dei dazi ridotti e delle altre agevolazioni previste dagli accordi, oltre alla via “documentale” (EUR 1, EUR-MED) esiste la possibilità (che verso la Corea del Sud è un obbligo) di ottenere lo status di Esportatore Autorizzato. La narrazione continua a esser circolare: l’operatore si rende noto alla dogana che, in un percorso dialogico (un vero e proprio audit, non una verifica ispettiva), gli attribuisce la facoltà di dichiarare direttamente l’origine preferenziale dei propri prodotti. Un’ennesima dicotomia, fra soggetti meritevoli di fiducia e soggetti che non possono esserlo (o non sanno di poterlo essere). Tramite questo approccio si riconcilia ancora quell’apparentemente insanabile frattura esistente fra agevolazione degli scambi legittimi e lotta senza quartiere agli scambi illeciti. La fiducia quale criterio ordinatore, talmente importante da permettere che un’impresa meritevole di tale credito possa addirittura sostituirsi alla dogana (sdoganando autonomamente presso le proprie sedi i prodotti movimentati) tramite le procedure di domiciliazione – e in futuro, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice doganale dell’Unione, mediante un vero e proprio processo di self-assessment.
L’impegno profuso nell’assistenza alle imprese che intraprendono percorsi di certificazione non è mai disgiunto dallo sviluppo di competenze proprie da parte dell’azienda stessa tramite brevi moduli formativi, certificati dall’International Network of Customs Universities (Incu). Tale formazione è incentrata non solo e non tanto sul “processo” (ovvero, la singola procedura o il singolo beneficio), quanto sul “risultato” (ovvero, un differente modello di interazione fra azienda e dogana). Ed è proprio questo l’intimo spirito del ciclo di seminari di Confindustria, trasformare un potenziale rischio in una opportunità. Convertire la dogana da insormontabile ostacolo a prezioso alleato, tramite la reciproca fiducia.
MAGGIO 2015