Grazie alla nuova impostazione del governo, vengono finalmente superate sia la storica logica di intervento straordinario programmato dal centro, sia quella di un’azione decentrata che finiva per evidenziare una carenza
di coordinamento e di scelta delle priorità strategiche.
Il governo Gentiloni ha ulteriormente rafforzato questa impostazione attraverso appunto la figura di un ministro dedicato. Questa novità risponde a due ordini di problemi. Da un lato il divario tra aree territoriali del nostro Paese, in particolare tra Mezzogiorno e Centro-Nord, dall’altro la considerazione che tale divario richiede di essere affrontato con un approccio a un tempo organico e sistematicamente integrato nella più generale politica economica e sociale del governo.
Con riferimento al divario, che era andato allargandosi già tra il 2001 e il 2007, la situazione è andata aggravandosi fino al 2014 a causa della crisi finanziaria e delle sue conseguenze per l’economia italiana. Tra il 2007 e il 2014 il Mezzogiorno ha perso 13,2 punti di Pil in termini reali, mentre il Centro-Nord ne perdeva 7,8. Il 2015 ha segnato finalmente una inversione di tendenza per l’economia italiana nel suo insieme e più accentuatamente per il Mezzogiorno: il tasso di variazione del Pil è tornato positivo, facendo registrare +0,8% in media nazionale e +1% al Sud, anche in virtù dell’accelerazione dei programmi di spesa legati alle politiche di coesione.
È, quello del 2015, un primo risultato positivo, che richiede però di essere consolidato in una crescita duratura e, per ridurre il divario, stabilmente maggiore al Sud rispetto alla media nazionale.
Con riferimento all’approccio di governo dei processi, dobbiamo essere consapevoli che le difficoltà del Mezzogiorno non possono essere spiegate semplicemente in termini di carenza di risorse, anche se l’aumento della spesa in conto capitale al Mezzogiorno rispetto agli anni recenti è un obiettivo centrale dell’azione di questo governo. Certo, la spesa per investimenti del settore pubblico allargato nell’area è diminuita in rapporto al Pil dal 5% nel 2008 al 3,8% nel 2014.
Ma nello stesso periodo la corrispondente spesa per investimenti del Paese intero è diminuita dal 4% al 2,8%. Fermo restando che il nostro Paese, e il Mezzogiorno in primo luogo, hanno bisogno di una ripresa della spesa in investimenti pubblici, la questione nevralgica è quindi quella della efficienza della spesa: che ogni euro stanziato sia speso e che ogni euro speso sia speso bene.
Per quel che riguarda la effettività della spesa, è con orgoglio per il governo e le sue articolazioni amministrative centrali, nonché per le istituzioni regionali e locali coinvolte, che rivendico l’azione svolta al riguardo dal governo Renzi: siamo riusciti a invertire la rotta e ad accelerare i processi di allocazione e spesa al punto da chiudere il ciclo 2007-13 con il pieno assorbimento dei fondi europei e stiamo procedendo alla chiusura della certificazione delle spese alla Commissione.
Quanto poi alla qualità della spesa, essa richiede programmi tempestivi ed efficaci senza dispersioni in progetti non strategici o non coordinati. Per la programmazione 2014-2020 partiamo da una base solida: da un lato abbiamo strutturato i processi di scelta degli investimenti e di attribuzione dei finanziamenti in maniera robusta, grazie alla cabina di regia del Fondo sviluppo e coesione e alla stipula con Regioni ed enti locali interessati >
dei patti per lo Sviluppo; dall’altro abbiamo effettuato, con i programmi operativi delle amministrazioni centrali, scelte strategiche dirette che evitano la dispersione della spesa sperimentata in passato e la concentrano su assi di intervento qualificanti.
La constatazione che la divergenza del Sud non è stata solo conseguenza di una mancanza di spesa conduce però alla conclusione che, per uscire dalla crisi e riprendere a convergere, il Mezzogiorno deve attivare le sue enormi energie inutilizzate, in particolare quelle dei talenti imprenditoriali.
Oltre alla ricognizione e impulso all’attuazione dei patti, i miei primi passi come ministro sono contenuti nel decreto legge 243/2016, che in conversione è stato ulteriormente ampliato con le norme sul monitoraggio della spesa ordinaria e con il rafforzamento del credito d’imposta per investimenti nel Sud.
Le prime impegnano le amministrazioni centrali a destinare alle regioni un volume complessivo di stanziamenti proporzionale alla popolazione; con il secondo le intensità di aiuto sono state incrementate ai massimi consentiti dalla legislazione europea. La deduzione degli ammortamenti dalla base di calcolo è stata abolita e i massimali sono stati aumentati fino a tre milioni di euro per le piccole e dieci milioni per le medie imprese. Sono totalmente fiducioso che gli investitori, in particolare meridionali, faranno la loro parte.
Ma non basta.
Sappiamo che esistono nel Meridione una pluralità di svantaggi e imperfezioni di mercato. Il governo ritiene importante affrontare anche il problema dell’accesso ai finanziamenti per le imprese del Mezzogiorno. L’esigenza di una banca con un mandato pubblico per il sostegno allo sviluppo, come in altri paesi europei, è ampiamente riconosciuta. A tal fine il governo vede con favore l’operazione di acquisizione della Banca del Mezzogiorno-MCC da parte di Invitalia. L’obiettivo deve essere quello di rifocalizzare la Banca del Mezzogiorno sulla propria mission di banca per lo sviluppo. Queste prime misure a mio parere rispondono all’obiettivo di fare del 2017, con il vitale contributo dell’imprenditoria meridionale, un anno di svolta per il Mezzogiorno.