Il continente africano non è soltanto guerre e migrazioni. Il settore energetico dell’area sub-sahariana potrà essere il motore di una crescita inclusiva.
Conoscere prima di investire. Con scenari internazionali sempre più incerti per gli imprenditori che si muovono sui mercati esteri è un passaggio essenziale. Con Giorgio Bartolomucci, già direttore di missione per le Nazioni Unite e dal 2010 segretario generale del Festival della Diplomazia abbiamo approfondito alcuni aspetti, partendo dagli elementi raccolti durante la settima edizione della manifestazione, svoltasi a Roma lo scorso ottobre. Cinquanta eventi per 76 ambasciate coinvolte e oltre 200 relatori.
Quest’anno il Festival della Diplomazia ha posto l’accento sulla “stagione delle incertezze”. Quale è stato il messaggio conclusivo?
Il mondo contemporaneo sta vivendo una profonda evoluzione. Dalla caduta del muro di Berlino, il bipolarismo Usa-Urss ha lasciato spazio dapprima all’affermazione della superpotenza statunitense e in seguito di un sistema multipolare, con il relativo apparente declino di Washington e l’emergere di nuove potenze, oltre che fenomeni globali quali il terrorismo, le migrazioni di massa, l’aumento delle diseguaglianze ecc.
Conclusasi la Guerra Fredda, il senso di incertezza si è purtroppo rivelato maggiore. Durante il Festival ci siamo pertanto chiesti: come si legge oggi la realtà? In che direzione sta andando il mondo? Le risposte ottenute hanno indicato che il tentativo di “controllare l’incertezza” comprende dinamiche locali e globali che rendono la comprensione dei fenomeni il più possibile stabile a fronte di scenari profondamente incerti.
Il quadro geopolitico di un paese è una priorità anche per le aziende che operano o intendono operare all’estero, cui oggi si impone sempre più di valutare rischi e conflitti prima di procedere a un investimento.
Dalle “primavere arabe” in poi il Mediterraneo è tornato a essere teatro di instabilità. Politicamente l’Europa ha trascurato i suoi confini meridionali?
L’intero bacino del Mediterraneo è sempre stato una delle zone del pianeta ad alta tensione geopolitica e non è mai stato privo di rischi.
La complessità delle dinamiche fra le varie popolazioni, resa ancor più difficile dalle azioni delle diverse componenti religiose soprattutto all’interno del mondo islamico, unitamente alla difficile contiguità col contesto del Sahara e la striscia di Sahel, ha rappresentato lo scenario di scontri e instabilità, cui si sono accompagnati diversi rapimenti anche di cooperanti e dipendenti di aziende italiane.
Dall’inizio della crisi in Siria, poi, l’Europa ha supportato le sanzioni americane e ha imposto restrizioni ai settori petrolifero, bancario e del commercio allo scopo di incoraggiare la fine della violenza e di una soluzione politica del conflitto.
Sappiamo che le sanzioni non hanno posto fine alla violenza e l’incertezza politica ha favorito l’esodo di milioni di profughi, sia dall’Africa che dal Medioriente. Ciò porta alla necessità di rivedere le politiche europee e la politica del “Migration Compact” sembra andare in questa direzione.
Da sempre l’Italia intrattiene relazioni economiche con i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo. Qual è lo stato dell’arte oggi?
È evidente che la questione della migrazione sia il problema di fondo principale, più volte affrontato con grande attenzione sia a livello di Nazioni Unite che di Unione europea.
Il primo obbligo della comunità internazionale è quello di continuare a salvare vite umane in mare, secondo il quadro giuridico in vigore, cui segue la necessità di fornire maggiore sostegno per i migranti arrivati nei nostri paesi, ma c’è soprattutto l’impegno di promuovere, tramite azioni di cooperazione pubblico-privato >
e le iniziative previste nel “Migration Compact” per assicurare che nei luoghi di origine si sviluppino le condizioni che possano limitare l’esodo cui stiamo assistendo.
Il punto è che ogni paese europeo deve prendersi la propria responsabilità e non è ancora così.
Che consigli darebbe oggi agli imprenditori?
La grande disponibilità di risorse energetiche dell’Africa sub-sahariana è sfruttata solo in parte. Circa il 30% di tutte le scoperte di petrolio e gas realizzate negli ultimi cinque anni si è verificato nella regione, che dispone anche di enormi risorse di energia rinnovabile, soprattutto solare e idroelettrica, ma anche eolica e geotermica. Il potenziale in termini di energie rinnovabili non è quasi per nulla sviluppato.
Le riforme domestiche nel settore energetico hanno portato a una accelerazione, ma i due terzi degli investimenti, a partire dal 2000, sono stati orientati allo sviluppo di risorse per l’esportazione. Il settore energetico dell’Africa sub-sahariana può essere il motore di una crescita inclusiva, rendendo il XXI secolo il “Secolo Africano” – con una crescita dell’ economia della regione di un ulteriore 30% al 2040 – mediante alcune azioni: l’ammodernamento del settore elettrico, ovvero investimenti addizionali al fine di dimezzare le interruzioni di corrente e consentire l’accesso universale all’elettricità nelle aree urbane; una maggiore cooperazione regionale per favorire l’espansione dei mercati e lo sfruttamento di una maggiore quota del potenziale idroelettrico del continente; infine, una migliore gestione delle risorse e delle entrate con più efficienza e maggiore trasparenza nel finanziare i necessari miglioramenti dell’infrastruttura energetica africana.