L’intervista che pubblichiamo è stata realizzata con Paolo Gentiloni quando era ancora ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, prima che assumesse l’incarico di presidente del consiglio dei ministri
Sul tema dell’immigrazione l’Unione europea sta affrontando una delle sue prove più difficili. L’Italia sollecita un impegno collettivo, ma gli stati dell’est si mostrano restii all’accoglienza. Da cosa origina questo sentimento e cosa può fare il nostro paese per non restare da solo ad affrontare il problema?
I flussi migratori non sono un’emergenza passeggera, ma una questione con cui convivremo a lungo. Ecco perché i paesi di prima accoglienza come Italia e Grecia non possono essere lasciati da soli a gestire il problema. Né possiamo pensare di affrontarlo alzando nuovi muri. Serve una risposta solidale e lungimirante a livello europeo. E anche i paesi dell’Est devono fare pienamente la loro parte.
È inoltre cruciale la cooperazione con i paesi di origine e transito dei migranti. Per questo l’Italia ha proposto un “Migration Compact” che definisca un nuovo partenariato tra Europa e Africa, con impegni reciproci: da parte nostra, sul piano dei progetti di sviluppo e degli investimenti; da parte dei paesi africani, in termini di lotta alle reti di trafficanti, controllo delle frontiere, riammissioni di migranti giunti irregolarmente in Europa.
La questione immigrazione si intreccia con il ruolo della Turchia, dove lei è stato recentemente in visita ufficiale, prima volta dopo il fallito golpe della scorsa estate. Come sono oggi i rapporti, considerando che le relazioni economiche fra i nostri due paesi riguardano anche molte pmi?
La Turchia è un alleato Nato, un partner con cui la Ue ha siglato un importante accordo sui flussi migratori e un paese con il quale l’Italia ha una significativa cooperazione economica, che intendiamo continuare a sviluppare.
Siamo tuttavia preoccupati per le scelte compiute dal governo turco a seguito del tentativo di colpo di stato. Consideriamo in particolare inaccettabili gli arresti della leadership di una grande forza di opposizione parlamentare come l’Hdp. Si tratta di un’involuzione che rende molto stretto il sentiero dei rapporti tra Unione europea e Turchia. Come ho ripetuto anche nel corso dei miei recenti colloqui ad Ankara, il governo italiano resta comunque pronto a lavorare con la Turchia su un percorso costruttivo, purché in linea con le regole e i valori europei. Non saremo noi a chiudere la porta della cooperazione.
Negli ultimi anni l’Italia ha cominciato a guardare nuovamente all’Africa, e non solo per la questione dei migranti. Quali margini di autonomia ha il nostro paese? Il nostro interesse riguarda anche i paesi della fascia sub-sahariana?
Lo sviluppo dell’Africa è una delle sfide principali del XXI secolo. La demografia, in un continente che nel 2050 conterà circa 2,4 miliardi di abitanti – più del doppio della popolazione attuale – sottolinea questa centralità. L’Italia può senz’altro giocare un ruolo da protagonista e ha scelto di scommettere sul futuro dell’Africa. Una scommessa politica come suggeriscono le fitte visite nel continente del Presidente della > Repubblica, del Presidente del Consiglio e mie: sono da poco stato in Mali, Niger e Senegal. Una scommessa di cooperazione allo sviluppo, vista la decisione del governo di raddoppiare le risorse disponibili e di destinarne più della metà proprio all’Africa; una scommessa sul piano diplomatico, con la recente decisione di aprire due nuove ambasciate in Niger e in Guinea.
Qual è lo stato dell’arte, invece, sul fronte delle sanzioni contro la Russia per il mancato rispetto degli accordi di pace con l’Ucraina?
Le sanzioni sono uno strumento e non un fine. Con la Russia siamo legati da un rapporto bilaterale molto rilevante e articolato.
Le misure restrittive dovrebbero servire a indurre Mosca a un dialogo più costruttivo in relazione all’Ucraina. La durata delle sanzioni è infatti collegata all’attuazione degli Accordi di Minsk, che al momento risulta però solo parziale, con un negoziato che si sviluppa a fasi alterne. Ecco perché è difficile poter immaginare oggi un cambiamento di politica sulle sanzioni nel breve termine.
A dicembre, in occasione del Consiglio europeo, l’Italia chiederà comunque un’approfondita discussione politica prima di prendere qualsiasi decisione.
Gli Stati Uniti hanno eletto il loro 45esimo presidente. Quali scenari si prospettano a livello internazionale con la vittoria di Donald Trump? Cambierà qualcosa nelle relazioni con l’Europa e con l’Italia in particolare?
Gli Stati Uniti sono il principale alleato dell’Italia. Continueremo pertanto a impegnarci per rafforzare a tutti i livelli il rapporto bilaterale con Washington.
Sul piano internazionale, sarà importante capire come alcune opzioni enunciate in campagna elettorale da Trump si tradurranno poi in pratica, ad esempio nel caso del principio “America First”.
Per quanto riguarda l’Europa, il rischio è che si preoccupi troppo per le politiche future della nuova amministrazione Usa, invece di dedicarsi a risolvere i propri problemi interni. Anche per accreditarsi come interlocutore prezioso degli Stati Uniti, la Ue deve essere in grado di dare risposte chiare e concrete su crescita economica, immigrazione e sicurezza, senza accontentarsi di approcci minimalisti.