Una riflessione sull’associazionismo, dalla “legge della tripla A” alla forza innovativa di Piccola industria e giovani imprenditori. il past president di confindustria racconta la sua visione di “corpo intermedio”
Ho accolto con molto piacere l’invito a portare la mia testimonianza sull’associazionismo. Chi mi conosce sa quanto tengo a questo concetto e quanto mi sia speso per questa causa.
Se dovessi raccontare con poche parole il valore aggiunto che penso di aver dato a Confindustria, direi che sono uno che si è sempre rimesso in gioco. Questo mi rende fiero. Tuttavia voglio sottolineare che ho assunto nuovi incarichi solo quando ho pensato che il mio contributo potesse essere importante e utile. E, soprattutto, sono andato sempre dritto per la mia strada, convinto dell’idea che sprecare i propri soldi sia un peccato, ma anche un diritto; mentre sprecare i soldi di tutti sia un peccato, oltre che una colpa grave.
Mi si chiede spesso di ricordare la mia esperienza a capo di Confindustria, in anni difficili e allo stesso tempo stimolanti. Qual è stato il contributo originale che portai?
Senza dubbio fu quello di garantire la separatezza e l’autonomia tra l’associazionismo e la politica. In qualità di presidente di Confindustria introdussi la cosiddetta “legge della tripla A”, dissi che Confindustria doveva essere autonoma, apartitica, a-governativa. In realtà in quegli anni di autonomia parlavano tutti, della necessità di rimanere indipendenti dai partiti anche.
La vera novità stava nella terza “A”: nell’essere a-governativi. Si trattò di una novità rivoluzionaria perché fino ad allora una figura importante come quella dell’avvocato Agnelli diceva esattamente l’opposto, ossia che occorreva essere governativi per necessità.
Accanto alla tripla “A” certamente significativi sono stati, da un lato, la concertazione per la politica dei redditi, dall’altro il rifiuto di essere schiacciati dal dilemma tra giustizialismo e giustificazionismo.
L’idea alla base del mio agire è che non esiste un soggetto vivo che sia solo corpo o solo anima; solo combinate anima e corpo danno la vita. Ebbene, io posso dire che di Confindustria ho vissuto anima e corpo.
Ho cominciato nel 1978 come presidente dei Giovani Imprenditori che, ieri come oggi, sono l’anima di Confindustria, così come le associazioni territoriali, le categoriali e le regionali sono il corpo. I Giovani Imprenditori, insieme alla Piccola Industria sono l’anima di Confindustria perché sono associazioni di persone, non di imprese. In quel periodo portai avanti due concetti che mi stavano a cuore: il primo è che non è importante essere d’accordo su tutto, ma è importante andare nella stessa direzione. Il secondo è che nel mondo esistono forze reali e forze ideali. Queste ultime sono spesso considerate più deboli. Ma è un errore. Sono le più forti. Certo hanno bisogno di tempo, di perseveranza, di pazienza e di impegno per dimostrare la loro potenza. Sottolineai che i Giovani Imprenditori, insieme alla Piccola Industria, erano una forza ideale che consentiva al corpo delle forze reali di trovare un equilibrio.
Il mio impegno nell’associazionismo è proseguito poi negli anni Novanta come presidente di Confindustria, l’unica vera grande organizzazione sociale che continua a esistere e a contare dopo la prima, la seconda e all’entrata della terza Repubblica. E questo non è un caso, noi in Confindustria siamo forza ideale e forza reale, noi siamo anima e corpo; abbiamo creato delle regole che sono la base portante della nostra struttura. Regole che, ad esempio, imponendo di cambiare presidente ogni quattro anni hanno fatto sì che l’impegno profuso durante il mandato fosse più omogeneo, e soprattutto regole che hanno valorizzato il ruolo della Piccola Industria e dei Giovani.
Grazie alle buone regole la storia di Confindustria è stata semplice. Da quando si sono introdotte le regole si è trovato sempre il presidente giusto al momento giusto. C’è stato Agnelli nell’epoca degli scontri sociali e dell’accordo con Lama; c’è stato Carli nel momento del compromesso storico e delle convergenze parallele. Negli anni in cui l’Italia era divenuta leader nella meccanica, in termini di export e di innovazione tecnologica, abbiamo avuto Merloni. In quelli della ristrutturazione abbiamo avuto Lucchini, un siderurgico. Quando si è andati in Europa, c’è stato Pininfarina, già parlamentare europeo. E poi, nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, abbiamo avuto Abete, un medio imprenditore, che lavorava con il pubblico a Roma, mantenendo la coscienza a posto. Quando è stato il tempo di dare maggiore valore ai piccoli imprenditori è stato il momento di Giorgio Fossa, quando quello di investire nel Mezzogiorno il turno del nostro “Masaniello”: Antonio Amato.
Con l’arrivo della globalizzazione è stato opportuno investire Montezemolo del ruolo di presidente. Poi Emma Marcegaglia, al tempo della seconda ristrutturazione industriale, attiva in un settore di frontiera. Negli anni Duemila sono venuti Squinzi e infine Enzo Boccia, che oggi esprime la centralità della digitalizzazione 4.0 e la valorizzazione del patto della fabbrica, che recupera nella realtà attuale il patto dei produttori di Piero Pozzoli.
Oggi, dopo un lungo periodo di recessione le priorità sono cambiate. Occorre reinventare il modo di fare impresa, il modo di essere imprenditore e il modo di rappresentarsi.
Dobbiamo però sempre ricordare che la credibilità è la nostra arma più potente. Mentre passiamo dalla seconda alla terza Repubblica rimaniamo l’unico soggetto che esisteva, esiste ed esisterà.
Da parte mia, sono orgoglioso di essere stato un testimone di Confindustria e di continuare a esserlo. Sono orgoglioso di pensare che qualcuno in futuro, magari tra i Giovani, farà ancora di più di quello che ho fatto io o gli altri presidenti. Penso che siamo una grande staffetta, che può continuare a correre nel rush finale. Nessuno ci impone di fermarci quando abbiamo finito il nostro turno. Possiamo continuare a correre, magari più lentamente, perché le energie sono diverse dal passato, ma possiamo continuare a dare il nostro contributo. Dobbiamo ricordare però sempre che stare in Confindustria non è solo fare l’interesse delle imprese, ma anche l’interesse del Paese. Nella vita dobbiamo prenderci delle responsabilità. Seguire il gregge è comodo e noi non dobbiamo commettere quell’errore. Per concludere, alcune parole sulla Piccola industria. Quando ero giovane vedevo la Piccola Industria come un corpo estraneo. Si trattava all’epoca di un organismo ancora in fase nascente, negli ultimi anni l’ho vista diventare protagonista, diventare soggetto attivo.
Oggi, all’interno del sistema Confindustria, Piccola Industria si occupa attivamente delle specifiche esigenze delle piccole imprese, colonna portante di questo Paese, e contribuisce allo sviluppo delle imprese stesse.
Ma non mi era mai capitata l’occasione per riconoscerle pubblicamente tutto questo. Sono molto lieto di farlo in questa occasione.